Il più vincente CT della Nazionale di sci, l’uomo della Valanga Azzurra, è morto il 5 novembre a Tirano. Aveva 76 anni ed era malato da tempo, ma nei rari momenti pubblici di questi ultimi anni non ha mai perso la sua verve tipica, il suo gusto per la polemica costruttiva e l’abitudine a parlar chiaro e diretto.
Chi lo ricorda come tecnico della Nazionale, lo associa alle gesta di Thöni, Gros, Pietrogiovanna, Radici, Stricker e i molti altri atleti che hanno segnato il periodo più luminoso dello sci azzurro. Più recentemente, e per lunghi anni, abbiamo letto su Gazzetta e Corriere i suoi commenti caustici sui fatti dello sci, le critiche aspre alle gestioni tecniche da lui spesso ritenute scadenti, le lavate di capo agli atleti incappati in qualche errore di troppo, o rei di scarsa determinazione. Lo stesso è accaduto nei commenti televisivi che lo hanno visto protagonista per un decennio, fino all’era di Tomba. Insomma, le ha cantate chiare a tutti, Mario.
Chi, come me, lo ha conosciuto di persona, sa che tipo d’uomo era, capace di stroncare in un attimo il lavoro fatto, se ritenuto non sufficiente, ma anche di approvare sinceramente una buona prestazione. Gli atleti, i suoi atleti, quelli della “Valanga”, hanno avuto un rapporto profondo, talvolta difficile, con il CT. Erwin Stricker raccontava spesso dei numerosi scherzi, prese di posizione, talvolta ammutinamenti che i terribili ragazzi azzurri mettevano in atto contro di lui, per divertimento o per protesta, in un gioco delle parti che si risolveva sempre in una riappacificazione e sul campo, in nuovi risultati eccezionali.
Inutile dire che ci mancherà il nostro grande Mario.
Alfredo Tradati